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Maradona a Veronello. Il ricordo di Enzo Zanin, già portiere del ChievoVerona

di Enzo Zanin, ex calciatore professionista, oggi a capo della Divisione Sport Management – Phoenix Group.

 

Tra i fiumi di inchiostro consumati in questi giorni per celebrare Diego Armando Maradona, mi hanno colpito le frasi pronunciate da tre grandi personaggi del mondo del calcio che credo sintetizzino la grandezza del calciatore e la fragilità dell’uomo.

“Non si può spiegare il genio”, ha detto di lui Ottavio Bianchi, suo allenatore a Napoli; Zbigniew Boniek: “Nello spogliatoio ci dicemmo che l’unico modo per fermarlo era menargli di brutto. Ma dopo dieci minuti in campo ci guardammo e ci dicemmo che, no, era troppo bello vederlo giocare”. Jorge Valdano suo compagno in Nazionale: “Avremmo dovuto dirgli tutta la verità: guarda Diego che giochi a pallone da Dio, ma sei soltanto un uomo”.

Non ho conosciuto Maradona, non l’ho mai visto giocare una partita dal vivo, ma nella primavera del 1988 il Napoli si trovava in ritiro a Veronello e ho potuto ammirarlo da una posizione privilegiata: ai bordi del campo, in una seduta di allenamento.

C’erano già state altre squadre di Serie A in ritiro a Veronello: la Juventus di Trapattoni, la Roma di Liedholm, ma mai la quiete di quel luogo era stata sconvolta come quando è arrivato il Napoli di Maradona.

Tutte le strade che portano al centro sportivo erano bloccate dalle auto; centinaia di uomini, donne e bambini erano in attesa di vedere il loro idolo nella speranza di farsi scattare una foto con lui o firmare un autografo. Non so quante di quelle persone riuscì ad accontentare, di certo parecchie perché raggiunse i suoi compagni con almeno un’ora di ritardo.

Noi ci stavamo allenando sul “campo due”, distratti dalla presenza sul “campo uno” dei campioni del Napoli e dalla possibilità di vedere il più grande di tutti. Improvvisamente Maradona comparve ai bordi del nostro campo e noi ci fermammo, lui ci salutò con la mano e si mise a “corricchiare” verso il campetto dove alcuni suoi compagni stavano facendo una partitella. Indossava l’immancabile K-way ma non portava le calze e le scarpe non avevano i lacci.

Gianni Bui, il nostro allenatore, capì che l’allenamento era di fatto finito e ci lasciò andare.

Maradona entrò subito nello spirito della partitella, dava l’impressione di divertirsi come un matto; i suoi compagni non lo marcavano stretto, troppa la paura di fargli male, e lui faceva “numeri” incredibili, segnava e faceva segnare. Era incredibile quello che riusciva a fare ed era una gioia vederlo così da vicino.

Finita la partita credevo se ne andasse negli spogliatoi e invece rimase in campo con Ciro Ferrara, Bruscolotti e il terzo portiere per una breve seduta di cross e tiro; Ferrara e Bruscolotti crossavano al limite dell’area di rigore, Maradona calciava in porta e il portiere …. raccoglieva i palloni nella rete.

Non avevo mai visto nessuno calciare il pallone con quella facilità, ogni suo movimento era talmente coordinato e armonioso che sembrava non facesse nessuna fatica, sembrava danzasse ed era chiaro che si divertiva.

Credo che se il massaggiatore non fosse venuto a chiamarlo sarebbe rimasto lì ancora un bel po’ ma dopo qualche altro tiro raccolse un pallone e se ne andò nello spogliatoio, palleggiando.

Oggi, ripensando a quel giorno, mi dico: che fortuna che ho avuto!

 

 

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